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Francesca e Denise hanno fatto un’esperienza di volontariato in Tanzania nelle comunità delle suore di San Giuseppe di Chambery.Ci raccontano che cosa le ha spinte a questa scelta e quali insegnamenti ne hanno tratto.
Quel giovedì di aprile sembrava una giornata di studio intenso come tante altre che da tempo si susseguivano, anonime e faticose. Non ricordiamo bene perché a un certo punto abbiamo sollevato lo sguardo dal libro e una delle due ha detto all’altra: «E se facessimo un viaggio in Africa? E se per un breve periodo abbandonassimo lo studio del diritto per dare ascolto a un sogno?». Da quel momento la nostra giornata si è illuminata e abbiamo iniziato a pensare come trovare un’associazione che ci potesse mettere in contatto con una missione.
Attraverso il contatto di un caro amico gesuita ci è stato fatto il nome della Fondazione Magis. Dopo aver procurato il numero di Sabrina, una delle responsabili, è iniziata la nostra avventura in Tanzania, prima immaginata e poi vissuta. Sabrina ci ha ascoltato fin dalla prima telefonata con grande attenzione e allegra disponibilità, e il nostro desiderio è stato riposto nelle sue mani nell’attesa di quello che sarebbe stato l’altro nostro importante contatto prima di partire: suor Clementina, delle suore di San Giuseppe di Chambery e presidente del CSJ Missioni.
Nelle videochiamate con lei ci siamo subito trovate a nostro agio come se la conoscessimo da sempre e con i suoi racconti il nostro entusiasmo è progressivamente cresciuto, portandoci in modo repentino a decidere che quella missione sarebbe stato il luogo in cui fare un’esperienza con bambini e adolescenti, esperienza che entrambe da tempo desideravamo. I giorni che hanno preceduto il 17 luglio sono volati fino a quando ci siamo trovate senza accorgercene all’aeroporto di Dar es Salaam.
Suor Josiane, coordinatrice della missione delle suore di San Giuseppe in Tanzania, ci ha preso per mano e condotto fino al bus, e dopo un’intera giornata in cui già dal finestrino osservavamo incantate il paesaggio scorrere davanti ai nostri occhi, a notte fonda siamo giunte nella casa delle suore di Mateka dove le altre suore della missione, Marian, Malathi, Nilza e Carmelina, impazienti attendevano il nostro arrivo.
Da quel momento, nella stanzetta preparata con amore per noi, ci siamo ritrovate a condividere con loro la vita dedicata agli altri, a chi ha bisogno di aiuto per poter crescere, a chi è stato meno fortunato di noi. E così, la mattina seguente, ci siamo trovate fra le ragazze ospiti dell’ostello. Ognuna di loro ci scrutava.
Due mondi si stavano incontrando, ma mentre noi sapevamo perché, loro forse si chiedevano come mai. Entrare in contatto non è stato semplicissimo. Alcune ci guardavano con curiosità, altre con diffidenza, altre con indifferenza. Solo con il passare dei giorni, anche attraverso i racconti delle suore, abbiamo compreso quanto la loro vita fosse difficile e quanto non fosse facile per loro aprirsi, lasciarsi andare, fidarsi di persone conosciute da poco, come eravamo noi.
Per questo forse è stato più facile incontrarsi suonando e ballando insieme le loro canzoni, dove eravamo noi ad imparare da loro, in un modo in cui ci siamo sentite vicine con la magia che a volte accade anche senza parlare, senza dover spiegare. Attraverso il bel rapporto che si è instaurato con le suore abbiamo inoltre avuto l’occasione di entrare in contatto con la vita vera di Songea e dei villaggi vicini.
Per la prima volta avevamo davanti ai nostri occhi una vita grigia, dura, faticosa, nella quale il calore e la gioia di tutte quelle «persone colorate» che incontravamo riusciva a mandar via la tristezza che avrebbero dovuto suscitare in noi quei luoghi dolorosi. Questa sensazione contrastante ci ha accompagnato durante tutto il viaggio.
Poi al momento dei saluti è prevalsa la tristezza. Oltre al dispiacere di andar via, ci rendevamo conto che noi saremo tornate alla nostra vita ma loro sarebbero rimaste là, con tutte le difficoltà da superare e una battaglia da vincere, pur con l’aiuto delle suore o di chi, come noi, avrebbe cercato ancora di dar loro un po’ di speranza.