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Dopo la quarantena, ripartiamo dalla realtà

La pandemia da coronavirus sta modificando la fisionomia delle nostre città. Emergono bisogni che prima sembravano inesistenti, che non sono solo legati alla povertà – che si sta manifestando in tutti i suoi volti. Il lockdown si sta rivelando un amplificatore del disagio interiore che viviamo, che con l’attivismo e il consumismo cerchiamo di soffocare.

La nostra comunità religiosa si trova al centro di Pisa, qui gestiamo uno studentato universitario. Le nostre studentesse, insieme alle loro famiglie, hanno fatto la scelta, prudente e saggia, di vivere la quarantena qui a Pisa e di non aumentare l’esodo dei fuori sede verso le regioni di appartenenza. Questo fa di noi una comunità numerosa: tre suore e venti studentesse che abitano insieme. Ciò ci ha obbligato ad adottare misure di prevenzione e, parallelamente, ha aperto un discernimento su come vivere questo tempo.

Ci siamo a lungo interrogate: noi, qui, in una situazione, almeno fino ad oggi, sicura, mentre fuori vediamo cambiare la fisionomia della città, vediamo emergere nuove povertà…

In un primo momento avevamo pensato di offrici come volontarie alla Caritas diocesana per fare la spesa e consegnarla alle persone sole e meno abbienti. Ma poi ci siamo dovute confrontare con la realtà: il rischio di contagio sarebbe aumentato, tradendo la fiducia di queste venti famiglie che si sentono sicure di sapere le loro figlie qui con noi. La direttrice del pensionato, suor Rossella, sta trascorrendo ore al telefono con madri e padri comprensibilmente preoccupati, ma anche fiduciosi nei suoi e nei nostri confronti. E poi non sarebbe stato prudente nemmeno per la nostra piccola comunità di tre suore. Abbiamo, infatti, una consorella anziana, con patologie pregresse, e questo avrebbe stravolto anche quella ordinarietà e quella sicurezza che la fanno sentire custodita in questo momento.

Abbiamo voluto comunque avviare un confronto con la Caritas diocesana, facendo arrivare il nostro aiuto in altre forme, e, scoprendo con meraviglia e gratitudine che anche loro erano pronti ad aiutare noi: ci hanno donato 50 mascherine da distribuire alle nostre studentesse, che in quanto non residenti avevano delle difficoltà a reperirle.

Abbiamo dato la disponibilità a manifestare la nostra vicinanza a quanti vivono questa quarantena da soli, anche per far conoscere, e mettere in contatto con la rete di solidarietà che si è creata nel territorio. In questo modo si sono aperte le case di decine di famiglie, di persone anziane e sole che stanno vivendo questo tempo con paura. Disagi non solo economici, ma personali e familiari che in questo tempo rischiano di assumere un peso schiacciante. A guardarla dalla finestra, la città sembra addormentata. Ma dentro le case la vita continua, anche nei suoi aspetti più tristi: solitudine, violenza, malattia, disabilità. Queste sono solo alcune delle realtà che ogni giorno incontriamo.

E poi un fenomeno nuovo, ignoto fino a qualche settimana fa anche all’Osservatorio Caritas: la comunità dei venditori ambulanti., qui a Pisa sono soprattutto senegalesi, che si trova ad essere nel bisogno. Persone che fino a qualche settimana fa, seppure ai limiti della legalità, lavoravano e potevano mantenersi. Oggi si trovano a ricorrere ai servizi Caritas. Alcuni di loro, che vivono nel centro città, si sono rivolti anche a noi. Stiamo rispondendo come possiamo, calando loro i pasti dalla finestra!

Il lockdown, però, sta facendo emergere anche un certo disagio interiore in quelle persone che, seppur vivano in una situazione di sicurezza e discreto benessere, comunque fanno fatica a stare con se stesse e con i propri familiari. Stiamo dedicando molto tempo – più di quanto avremmo pensato – ad ascoltare gli sfoghi legati a difficoltà relazionali familiari, insoddisfazione personale, beghe lavorative, stanchezze varie.

Fa riflettere! Nonostante questo tempo stia mettendo in ginocchio tutte le sicurezze (o pseudo tali) della nostra società capitalistica, quanto siamo ancora egocentrici? Quanto presi e distratti da tante piccolezze?

Possono, sì, essere strategie difensive attraverso cui proteggersi dalla grande incertezza che sentiamo riguardare il nostro futuro; ma ci sentiamo di invitare a essere attenti, vigilanti, e a restare ancorati alla realtà: è in essa che si manifestano i bisogni reali, cosi come i desideri che ci aiuteranno a ripartire!
 

Margherita Corsino csj

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