Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento del sito. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.
Il Covid-19 ha stravolto le nostre vite. Questa pandemia ci ha toccato nel profondo. Quarantena, difficoltà economiche, distanziamento nei rapporti sociali, paura del contagio: ciò che non saremmo riusciti a immaginare solo un anno fa, è diventato realtà. Sono mesi difficili e, prevedibilmente, ne abbiamo altri altrettanto difficili di fronte a noi. In questi mesi, però, pur tra mille problemi, è emersa prepotente l’importanza del valore della solidarietà. Questa pandemia ci ha fatto scoprire come, proprio la solidarietà, sia uno dei perni fondamentali della nostra società.
«Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 – ha scritto papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” - ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme. [...] La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. […] Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli».
Senza un legame solidale manca il collante che ci tiene insieme. Senza il riconoscersi «Fratelli tutti» non si va avanti. Anzi, si regredisce. Nel concreto: pensate a che cosa sarebbe stato questo lungo periodo di quarantena senza l’impegno di mille piccole e grandi organizzazioni, di migliaia di volontari che sono stati vicino agli ultimi. Ma anche a chi ultimo non era, ma si è trovato quasi da solo a far fronte a questa minaccia.
La solidarietà non guarda in faccia nessuno. Non vuole e non deve guardare al colore della pelle, all’appartenenza etnica, alla provenienza geografica, all’età, al sesso. «L’amore che si estende al di là delle frontiere – ha scritto papa Francesco - ha come base ciò che chiamiamo “amicizia sociale” in ogni città e in ogni Paese. Quando è genuina, questa amicizia sociale all’interno di una società è condizione di possibilità di una vera apertura universale. Non si tratta del falso universalismo di chi ha bisogno di viaggiare continuamente perché non sopporta e non ama il proprio popolo. Chi guarda il suo popolo con disprezzo, stabilisce nella propria società categorie di prima e di seconda classe, di persone con più o meno dignità e diritti. In tal modo nega che ci sia spazio per tutti».
Anche CSJ Missioni ha lavorato nell’ottica della solidarietà. Pur non avendo progetti nel campo sanitario e dell’emergenza ha voluto dare un proprio contributo sostenendo chi si trovava in difficoltà. CSJ Missioni, come altre organizzazioni, non vuole medaglie o riconoscimenti. Sarebbe bello, però, che tutti si ricordassero di questo impegno anche quando il virus non farà più paura. E sarebbe altrettanto bello che la solidarietà da valore bistrattato, venisse considerata uno dei pilastri della nostra convivenza.
«L’amore - scrive papa Francesco - implica [...] qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti».