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Sono gli ultimi degli ultimi. Messi ai margini. Costretti a vivere in miseria. In Pakistan, i gipsy vivono come reietti. Ma non sono soli. Da anni, alcune organizzazioni e congregazioni cattoliche, tra le quali le suore di San Giuseppe di Chambery, sono al loro fianco nella lotta contro la povertà e per il riscatto sociale. Ma chi sono i gipsy?
Conosciuti comunemente come Khana Badoosh o Pakkhi Wass, gli zingari conducono una vita semi-nomade viaggiando da regione a regione, da villaggio a villaggio. Quando si fermano, creano accampamenti di tende o case di fango nelle periferie, vicino alle ferrovie o alle discariche. La maggior parte di essi non ha documenti e neppure una istruzione formale.
Si stima che solo a Lahore abitino 43mila gipsy e che oltre la metà di loro viva grazie a lavori precari: spazzini, mendicanti, intrattenitori. Le donne sopravvivono realizzando giocattoli di argilla, tappeti e cesti di paglia. A causa della mancanza di opportunità, molte ragazze finiscono nella rete della prostituzione e spesso, purtroppo, contraggono l’Hiv-Aids.
«Il governo dovrebbe facilitarci nell’acquisire carte d’identità nazionali e risolvere i problemi relativi ai documenti – spiega una gipsy in un’intervista all’agenzia Uca News -. Le istituzioni dovrebbero fornirci materie prime e promuovere i nostri prodotti tradizionali, promuovere la nostra musica attraverso i media nazionali e creare opportunità per i nostri figli per aiutarli a ottenere un’istruzione».
In questo contesto, le suore di San Giuseppe di Chambery, sostenute a più riprese dal Csj Missioni, hanno aiutato i bambini e la bambine gipsy aiutandoli a studiare. Un’azione che sfida i pregiudizi ma che, giorno per giorno, mette le basi affinché questi ragazzi possano crearsi un futuro diverso, lontano dalla miseria.
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