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Ravenna, le suore con gli ultimi

«Aprire questa comunità è stata una grazia. Un’autentica grazia per me e per le mie consorelle». L’entusiasmo di suor Clementina è palpabile quando parla della comunità delle suore di San Giuseppe di Chambery che si è creata nel 2018 a Ravenna. Tre religiose impegnate sul fronte della marginalità e che, ai tempi dell’epidemia di coronavirus, hanno continuato a lavorare a fianco degli ultimi.

La loro «base» è la parrocchia di San Rocco dove sono state chiamate dal parroco a operare a favore dei più bisognosi, italiani o stranieri. Offrono servizi essenziali: ambulatorio, mensa, guardaroba, dormitorio, vicinanza ai detenuti in stato di affidamento per gli arresti domiciliari. «Nel 2019 – spiega suor Clementina – i volontari insieme a suor Piera hanno servito circa 85.000 pasti, tra i 230 e i 250 al giorno. I nostri ospiti sono persone bisognose. E il bisogno non è diminuito allo scoppio dell’epidemia, anzi. Sebbene si sia dovuto chiudere i locali della mensa, si è  continuato a fornire pasti alle persone che avevano necessità, offrendo loro sacchetti con i viveri essenziali».

Più problematica la gestione del dormitorio «Buon Samaritano». Solitamente alla struttura si accede a rotazione dopo colloqui di accoglienza che si tengono due volte la settimana. Con il diffondersi del virus, però, si è stati costretti a mettere fine ai colloqui. «I nostri ospiti – osserva suor Clementina – sono persone che vivono in strada e quindi sono soggetti a rischio contagio. Abbiamo quindi dovuto chiudere le accoglienze e tenere nella nostre strutture gli ospiti che erano già presenti. Stiamo dando assistenza a 18 persone, la maggior parte di esse straniere».

Nel dormitorio sono presenti persone di una decina di nazionalità diverse con fedi diverse. In questi giorni, nove di loro stanno celebrando il Ramadan, il mese sacro dell’Islam. Le suore, rispettose della loro fede, hanno modificato gli orari per la cena e hanno dedicato una stanza nella quale possano pregare. Nelle lunghissime giornate della quarantena, sono state poi organizzati laboratori culturali per formare e intrattenere gli ospiti. Si è parlato dei Paesi di origine dei nostri ospiti, con le loro storie, le loro ricchezze culturali e religiose, le loro tradizioni.

Anche suor Teresa è stata particolarmente impegnata. Lei insegnante e preside del San Vincenzo de’ Paoli, istituto paritario di Ravenna, è stata impegnata per ore nell’attività didattica e in quella di relazione con gli insegnanti e i genitori degli alunni.

Ad alcune attività, nel mese di gennaio e di febbraio, ha partecipato anche Maria Giovanna Titone, novizia, che ha trascorso un periodo a Ravenna prima di rientrare nella comunità di Pisa. «Maria Giovanna – conclude – ha fatto un buon lavoro con noi. Ha servito alla mensa e ha lavorato insieme alle insegnanti che curano la scuola d’italiano. Un’esperienza che l’ha galvanizzata perché le ha permesso di lavorare insieme ai giovani  stranieri, non ancora maggiorenni,  creando buone relazioni  con  loro. In generale posso dire che questa comunità è una bella esperienza, ma anche una grande sfida  per  noi religiose. Entriamo ogni giorno in contatto con persone che per una ragione o per un’altra sono state  messe al margine del sistema e con loro cerchiamo di camminare semplicemente  insieme  cercando di prendercene cura. Posso proprio dirlo, per noi, è una grazia. Anche in tempo di Covid-19».

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